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Leon Festinger (1919-1989) |
La domanda è: “Cosa potrà convincerci che ciò in cui avevamo riposto (in buona fede) tanta certezza e fiducia non sia stato altro che un abbaglio?” La risposta trovata al termine di una faticosa ricerca empirica sembra non essere confortante, ovvero: “Nulla, nemmeno una smentita inequivocabile può far capitolare chi abbia fortemente investito nella propria convinzione”. Certo qualcuno che cambia idea c’è ma il punto è che altri, sebbene in buona fede, non lo fanno.
Vale la pena di ricordare il monito dell’aforisma di Nietzsche: “Io ho fatto questo -dice la mia memoria - Io non posso aver fatto questo - dice il mio orgoglio e resta irremovibile. Alla fine è la memoria ad arrendersi (cit. Al di là del bene e del male)”. In una qualche misura il meccanismo psicologico evidenziato nel saggio è simile, si tratta infatti di un eccesso di investimento di sé aderendo ad una ideologia. La convinzione si rafforza radicalizzandosi mano a mano che ci si taglia i ponti alle spalle mettendosi di fatto in una posizione di non ritorno. In questo caso alla smentita drastica corrisponde una reazione dapprima di disorientamento e poi, avendo troppo da perdere nel riconoscere l’errore, interviene salvifica un azione di rilettura dei fatti, un’interpretazione che preserva la correttezza della scelta (vissuta come senza ritorno) fatta in precedenza, da qui l’aggrapparsi a forme più o meno verosimili di “razionalizzazione” (ma potremmo dire di fabulazione) che consentano di rileggere i fatti in maniera alternativa e nuovamente coerente con la ideologia di cui sarebbero la clamorosa smentita. Questo processo di razionalizzazione dell’incongruo (la smentita a una profezia implicita in un’ideologia) e di ricreazione di realtà consente al credente non solo di superare lo smarrimento ma anzi di trarre maggior forza e fiducia dalla smentita stessa, tramutata in conferma e/o messa alla prova della propria fede. Non si tratta come per Nietzsche di orgoglio quanto piuttosto di un meccanismo di autodifesa, un buon esempio di come la lezione della psicanalisi (e in particolare la razionalizzazione e la verbalizzazione dei vissuti emotivi) chiarisca l’operato della mente e la sua forza, capace infatti di piegare la cruda realtà a propria utilità.
Sebbene risalga al lontano 1954, questo saggio è di sconcertante attualità per la chiarezza di sguardo che è in grado di portare su questi meccanismi comportamentali che ci riguardano tutti, viste la similitudine delle dinamiche anche in altri frangenti, come l’adesione a una ideologia politica o la difesa di principi giuridici astratti.

E’ divertente vedere come l’ideologia della signora Keech evolva con le sue passioni del momento e come ad esempio alcuni cliché di ufologia e approssimativi riferimenti religiosi (dedotti dagli incontri e dalle frequentazioni che aveva in determinati periodi) si inseriscano nelle comunicazioni ricevute da Sananda. Le trascrizioni dei messaggi (spesso frammentari e confusi) sono puntualmente oggetto di accurate e faticose esegesi frutto della collaborazione con altri ferventi adepti le cui nozioni personali e credulonerie condizionano l’interpretazione finale, fino a costruire di messaggio in messaggio (ma sopratutto di interpretazione in interpretazione) un cosmo variopinto di una certa complessità, retto da una sua logica interna e che comprendeva alcuni temi generali che riscontravano, all’epoca come oggi, un certo seguito in gruppi non così minoritari di persone (es. avvistamenti alieni, cospirazionismo, millenarismo, spiritismo, mito di Atlantide). E’ evidente la straordinaria potenza della “razionalizzazione” non solo nell’inglobare via via elementi esterni (ed estranei) ma anche nell’indirizzare e piegare i fatti incongrui o contraddittori appiattendoli sull’ideologia, di conseguenza proprio da tale evidenza possiamo e dobbiamo trarre indicazioni di prudenza nel compiere valutazioni e nel misurare la nostra intransigenza nel liquidare frettolosamente come folli quanti professano teorie stravaganti. Ancor più arduo diventa il tentativo di dialogo o confronto con chi sia preda di una tale “fede” laddove evidentemente il meccanismo della “razionalizzazione” tende a assimilare ogni contrarietà inserendola in una nuova coerenza vieppiù impermeabile ad ogni critica compresa la chiamata in causa di evidenze contrarie.

Una lettura davvero consigliata che offre molti spunti di riflessione.
Vale la pena di notare che laddove il saggio ben evidenzia la potenza e la pervasività del meccanismo della “razionalizzazione” apre le porte ad una considerazione critica che può a buon diritto ribaltarsi sull’intera teoria freudiana laddove essa stessa può senz’altro apparire come una costruzione teorica che si avvale strutturalmente della funzione “razionalizzatrice” per sussumere in sè qualsiasi deviazione e diventare così tautologicamente omnicomprensiva e autodimostrativa. In ciò sta forse la grandezza e il limite della psicoanalisi come pretesa di descrivere meccanismi di cui è essa stessa contemporaneamente soggetto e oggetto. Ciò che conta, al di là del valore di verità (probabilmente inattingibile) è che questo approccio può fornire strumenti interpretativi e quindi di azione in grado di incidere sul reale, smascherando almeno in parte le fabulazioni che lo pervadono. Se poi questo reale infine raggiunto, sia o meno soltanto una ulteriore e più forte fabulazione offerta dalla teoria freudiana, non è dato sapere, il che non lo rende meno utile.
[ Quando la profezia non si avvera / Festinger, Riecken, Schachter / Il Mulino ]
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